Martedì 21 novembre la Rete Educare alle differenze è stata invitata presso il Senato della Repubblica durante la conferenza stampa “Contrastare la violenza di genere a partire dalla scuola” su iniziativa della senatrice Cecilia D’Elia. In occasione della conferenza è stato presentato “Che fare? Tutto quello che avresti voluto sapere per contrastare le violenze di/del genere a scuola”, un documento redatto dalla Rete per fornire strumenti contro le violenze a chi lavora nel mondo della scuola.
Le linee guida nascono da due anni di lavoro, mettendo insieme esperienze e competenze diverse: “una competenza che non si inventa”, ha detto ieri la senatrice Cecilia d’Elia.
Per contrastare le violenze a scuola infatti c’è bisogno di persone esperte che sappiano riconoscere la cultura patriarcale che produce la violenza maschile contro le donne, la violenza omobilesbotransfobica, la violenza della normatività di genere. Un lavoro del genere ha bisogno di risorse e di finanziamenti, di leggi che sostengono anche sul piano economico, oltre che su quello dei principi.
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Le linee guida della Rete Educare alle Differenze non sono “il frutto di una mente fantasiosa, che pensa che le violenze di genere siano una cattiveria”, dice Monica Pasquino, presidente della Rete. “Non sono linee di chi osteggia la convenzione di Instabul, non appoggiano il taglio dei fondi alla prevenzione”, continua Pasquino, ricordando il rapporto di Action Aid di pochi giorni fa che denunciava il taglio del 70%.
Il sistema che produce violenza è un sistema che interseca più dimensioni, e va affrontato in una prospettiva intersezionale, come spiega la vicepresidente dell’associazione, Giulia Selmi: “La violenza che ha ucciso Giulia Cecchetin è la stessa violenza del bullismo contro un ragazzo che ha un’espressione di genere considerata non “sufficientemente da maschio”, è la stessa violenza del giornalista che usa il pronome maschile per chiamare una donna trans”. Per fare un lavoro del genere bisogna impegnarsi dentro la scuola da settembre a giugno, non solo a ridosso del 25 novembre.
Anna Foggia, preside di un istituto comprensivo della provincia romana, richiama la necessità di porsi in ascolto delle esperienze de3 ragazz3 che abitano la scuola. “La scuola non può fare una presa in carico, ma può tanto per decostruire gli stereotipi che sono matrice della violenza”, dichiara la dirigente. Le proposte del ministro Valditara vanno nella direzione dell’ennesima bega burocratica da addossare alla scuola, che se ne sente subissata; si dovrebbe allora svuotare il lavoro della scuola dalle incombenze burocratiche e ricentrarsi sulle sfide educative, senza le quali non è possibile garantire il successo formativo de3 student3. Il contrasto alle violenze di/del genere è una di queste.
Alessio Miceli, docente di scuola secondaria, porta sotto la lente la maschilità e il disagio che attraversa i socializzati maschi: “Dove si possono posizionare i ragazzi? Si trovano davanti a uno spaesamento, rimango senza parole: ma per trovare le parole bisogna fare dei rovesciamenti, ribaltare stereotipi che vogliono i maschi consegnati a un certo destino”.
Sara Ferrari, deputata, interviene nel dibattito per ribadire la necessità non solo di una presa in carico delle vittime ma anche della prevenzione primaria. Il femminicidio di questi giorni ci ha mostrato che non c’era nessuna presa in carico, nessuna violenza pregressa, ma c’è forte un tema culturale da affrontare. La violenza di genere è un fenomeno pubblico, la scuola è il primo luogo che deve occuparsene; ci vuole una responsabilità pubblica, le scuole non possono essere lasciate sole, deve essere coinvolta tutta la comunità educante.